giovedì 25 luglio 2013

[Live Report] Amanda Palmer - The Academy (Dublino)


 


Come mi aspettavo, difficile ritrovare una scaletta di questo concerto.
Altrettanto difficile sapere se davvero sia stata una serata speciale o se è speciale sempre (ma è possibile offrire una performance di tale livello ogni sera durante i lunghi tour?).
Difficile, infine, raccontare un concerto che si proietta direttamente tra quelli migliori di sempre, musicalmente e (soprattutto) emozionalmente.

Che Amanda Palmer sia qualcosa di diverso dalla media è cosa nota: sin dai due, strepitosi album a nome Dresden Dolls, sia per tutto quello che è successo dopo: la carriera solista, l'ep di cover dei Radiohead con l'Ukulele, i viaggi per il mondo, l'ultimo album finanziato dai fan con oltre un milione di dollari via Kickstarter (record), l'attivismo sociale, il costante (e quasi inverosimile) contatto con i fan via twitter e altre piattaforme sociali.
Che potesse, dopo tutto questo background, palesarsi sul palco, per abbondanti tre ore, mettendosi a nudo con una onestà quasi imbarazzante, era meno scontato.
In altre parole, ci si poteva immaginare uno spettacolo musicale, il travestimento, i momenti tra ruvidezza punk e altre ballate più dolci, con il suo pianoforte.

Invece, con indosso un bel kimono, Amanda scende prima di tutti sul palco, per intrattenersi con il pubblico prima dei suoi gruppi spalla che appaiono (e sono) più amici che ospiti.

Si racconta, li presenta, in qualche caso li aiuta o rimane li a ballare.
Tre le aperture: la prima con il gruppo di Jherek Bischoff, tra chitarra, archi e composizioni strumentali.
La seconda,  i Simple Pleaasure, improbabile duo elettro pop, probabilmente dimenticabile live quanto godibile live per la straordinaria presenza scenica dei due frontman.

La terza, sono i Bitter Ruin, che si presentano sul palco per ben 4 minuti netti, il tempo di esibirsi in una versione di Trust migliore che nel video ufficiale, lasciarci stupefatti e andarsene.


Ed ecco il momento di Amanda.
Ci si aspetterebbe l'ingresso trionfale, invece entra sola, con l'ukulele e inizia a cantare qualche brano.
Intanto si racconta. Ci racconta. Chiede che canzoni vuole sentire il pubblico. Una non se la ricorda alla perfezione, allora (tutto vero!) ne canta un'altra intanto che la ragazza che l'ha richiesta cerca un video su youtube con le parole, se la porta sul palco e le fa tenere il video sotto mentre la canta.
Si racconta, parla con il pubblico, rompe ogni muro possibile tra artista e palco, dialoga, chiama ospiti, lo show si allarga senza che ce ne si accorga.
Rimangono i frammenti: i pezzi dell'ultimo album suonati in versione diverse perchè il batterista quella sera non aveva potuto esserci (ed ecco che il sopracitato Jherek si era divertito in mattinata a organizzare archi e violini per rendere lo stesso possibili i live), una Missed Me vissuta integralmente in stage diving sulle braccia del pubblico, una Delilah che diventa duetto con la lei dei Bitter Ruin (facilmente tra i momenti migliori musicali dell'anno).

Un brano poi (non riesco a ricordare quale, forse Trout Heart Replica? The Bed Song?) viene dedicato ad una ragazza (presente) che nel pomeriggio le aveva raccontato di avere perso recentemente la madre e di esserci appellata a quel brano per reggere.
Insomma c'è emozione, c'è risata, c'è il divertimento, c'è il racconto di sè, si parla anche di temi come l'aborto di cui veniamo a sapere si sta discutendo molto in Irlanda, si canta una canzone scritta apposta contro il Daily Mail che l'ha criticata duramente per il live a Glastombury, o meglio, per il l'abito troppo scoperto indossato.

E' una storia, insomma, più che un live.
Sorprende quasi la totale sincerità di fronte al pubblico.
E soprattutto, lascia indietro la sensazione di una serata, chissà se speciale o meno, sicuramente indimenticabile.







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